Meo Patacca, sottotitolato
Roma in feste
ne i Trionfi di Vienna, può essere considerato il poema epico
del popolo di Roma. Ma mentre l'eroe, dal quale l'opera ha preso il
titolo, è ancora assai vivo fra le tradizioni della città, il nome
dell'autore è completamente sconosciuto a gran parte dei romani.
Berneri, nato e cresciuto a Roma, fu sia poeta che scrittore di
commedie, e membro di diverse accademie letterarie del suo tempo. Fra i
suoi lavori figurano poemi, rappresentazioni teatrali allegoriche e
religiose, ma fra i suoi titoli viene ricordato solo il
Meo
Patacca. Dell'autore non è rimasto neppure un ritratto. Ma il grande
apprezzamento per l'eroe popolare, il rugantino Meo, che è un popolano a
sua volta, pur rappresentando un virtuoso esempio di coraggio e
moralità, dà ragione di un così duraturo successo. Ciononostante, negli
ultimi decenni sono state date alle stampe pochissime edizioni del
poema.
Al giorno d'oggi il capolavoro di Berneri è stato relegato
fra i titoli semisconosciuti della letteratura minore, occasionalmente
reperito sulle bancarelle dei libri di seconda mano.
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Sono pochi i siti web che citano questo poema,
ma Roma Virtuale è l'unico ad offrire oltre un terzo
delle originali 1245 ottave, con il riassunto della
trama.
Ispirato ad un fatto storico, Meo Patacca
racconta le vicende di un tipico sgherro, cioè un giovane popolano
abile nel maneggiare le armi, con un alto senso dell'onore, che
offriva i suoi servigi alla propria comunità facendo delle buone
azioni. Nell'apprendere la notizia che Vienna è stata assediata
dagli Ottomani, raduna i migliori sgherri della città e forma una
piccola armata per dare aiuto alla città cristiana. Ma poco prima
di mettersi in marcia, giunge a Roma la notizia che le stesse
truppe di Vienna sono riuscite a liberare la città dai Turchi, e
così il denaro raccolto per la spedizione viene impiegato per
organizzare una grande festa cittadina, che dura diversi giorni.
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Sullo sfondo, la storia d'amore di
Meo con la sua spasimante Nuccia fa da contrappunto ai principali eventi
della trama.
Tutti i personaggi sono modellati sui tipici popolani
romani; alcune delle situazioni sono davvero divertenti, e disseminate
da pungenti osservazioni dello stesso Berneri, che si riserva la parte
del narratore, spesso aggiungendo i propri pensieri, e di tanto in tanto
indugiando nella descrizione dei luoghi famosi di Roma che costituiscono
l'affascinante ambientazione della storia.
Inoltre, il poema è una
vera miniera di informazioni sulla vita di tutti i giorni nella Roma del
tardo XVII secolo: come vestiva la gente del popolo, come era
ammobiliata una casa comune, quali erano le formule di saluto, ed altre
ancora.
Ma il poema di Berneri tenstimonia anche l'atmosfera di
fanatismo della Roma sotto il secolare dominio dei papi: la missione
dell'eroe può essere letta come una mini-crociata, basata sulla
prospettiva religiosa di un esercito di infedeli all'attacco di una
città cristiana.
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Nell'ultimo Canto questo sentimento sfocia in
autentico fanatismo: scatenata da un futile pretesto, la marmaglia
assedia il ghetto della comunità ebraica, accusata di aver
simpatizzato per i Turchi. Questo, come pure altri eccessi,
vengono stigmatizzati dallo stesso Berneri. Al contempo, il
poema si rivela una fonte insostituibile di documentazione storica
su come si svolgevano le feste pubbliche a Roma: quasi l'intera
seconda metà dell'opera descrive minuziosamente come si
organizzavano i festeggiamenti, com'erano costruiti i diversi tipi
di fuochi d'artificio, come venivano sparati e qual era il loro
risultato, ed anche in che misura il popolino creasse tumulto nel
prendere parte alle feste (un'occasione per i ceti più bassi di
sfogarsi della propria miserabile condizione); durante queste
celebrazioni non era raro che qualche passante rimanesse ferito, o
persino ucciso. |
L'assedio di
Vienna che ispirò il poema è un fatto realmente accaduto. Il 14 luglio
1683, il visir ottomano Kara Mustafa Pasha (il cui nome si ritrova nel
testo come
Bassà, corrotto secondo il dialetto) mise Vienna sotto
assedio, per 60 giorni. La città sarebbe caduta nelle mani dei Turchi,
se papa Innocenzo XI non avesse invocato l'aiuto del re di Polonia
Giovanni III Sobieski, il cui intervento si rivelò decisivo. Mentre
gli Ottomani si ritiravano, l'armata austriaca entrò in Ungheria, e
prese Buda.
L'opera di Berneri venne pubblicata la prima volta dodici
anni dopo, nel 1695. Per una seconda edizione si dovettero attendere
circa 100 anni, ma questa era decorata con 52 tavole disegnate dal
famoso incisore romano Bartolomeo Pinelli (quelle mostrate in questa
pagina fanno parte della suddetta serie).
LA LINGUA
Questo è un altro aspetto interessante del
Meo Patacca. Berneri fuse l'arcaico italiano parlato nel
'600 col dialetto di Roma, che a quei tempi aveva già sviluppato
un proprio carattere; il risultato è forse un linguaggio più
diluito di quello parlato nelle strade, ma ciò è comprensibile se
consideriamo che Meo Patacca è una delle prime opere
interamente scritte in una lingua non ufficiale, o non letteraria,
non perché l'autore non avesse padronanza dell'italiano, ma
piuttosto come coraggioso tentativo di abbassare il livello del
linguaggio, affinché anche la gente comune potesse
comprenderla. Innanzitutto è ancora ben presente una certa
influenza del latino. Ad esempio Berneri fa precedere da
un'arcaica "H" ogni inflessione del verbo avere, che quindi
scrive havere. Lo stesso avviene con i sostantivi di
origine latina quali homo, hora, e così via. Anche
la congiunzione latina et viene comunemente usata ovunque
nel testo. |
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Al contrario, diversi vocaboli che in
italiano hanno la "H" nel testo di Berneri la perdono:
occi (per
occhi),
ciamare (per
chiamare), e così via. In
seguito questo fenomeno scomparve dal dialetto romanesco.
È
interessante che qualche parola sia chiaramente derivata dallo spagnolo:
essendo il meridione rimasto a lungo sotto il dominio della corona di
Spagna, tali influenze filtrarono attraverso il dialetto napoletano,
parzialmente attecchendo anche a Roma. Una di queste tracce spagnole è
l'uso dell'articolo determinativo
el (che la Spagna aveva a sua
volta ereditato dagli Arabi durante il medioevo); a Roma la pronuncia di
quest'articolo divenne più ruvida,
er, anche se i pochi che
affettavano un linguaggio meno volgare, nel tentativo di apparire più
educati, continuarono a dire
el. E nel corso del XX secolo,
"ammorbiditosi" un po' il dialetto, soprattutto nei testi scritti finì
col prevalere la grafia originale.
Un altro esempio è l'uso del verbo
buscare per "cercare" (
In busca de' compagni ohmai si
vada, Canto I, 82): col tempo, il significato del verbo (che in
spagnolo vuol dire "cercare") a Roma si trasformò in quello di
"ottenere, ricevere", cioè non l'azione originale, ma il risultato della
ricerca.
Invece un segnale del tramite partenopeo di queste voci
spagnole è l'uso di
fornire per "finire",
nisciuno per
"nessuno", ecc., tuttora presenti nel dialetto napoletano, ma non più
nel romanesco.
Sono fenomeni caratteristici del linguaggio di
Berneri anche la ripetizione della prima parte della frase talora usata
per dare più enfasi al discorso (alcuni esempi:
Famo una cosa per
adesso famo; Ce semo intesi, - disse Meo, - ce semo; Fatto l'havrìa
pentì fatto l'havrìa; ecc., effettivamente aderente al romanesco, ad
esempio, di Giggi Zanazzo), così come pure la frequente aggiunta di una
sillaba,
-ne, all'infinito dei verbi romaneschi (cosidetta
epitesi), per cui
cascà ® cascàne,
vedé ® vedéne,
rosicà ® rosicàne, e così via, oggi rimasta solo
in pochissimi vocaboli (sì
® sìne, no
® nòne, ecc.).
L'uso della
punteggiatura da parte di Berneri è abbastanza capriccioso, e di tanto
in tanto anche la grafia di alcuni vocaboli fluttua da una forma ad
un'altra, come nel caso di
chalche « calche ("qualche"),
propio
« proprio,
ajuto « aiuto, ecc.
Anche molte preposizioni vengono usate in forme diverse, spesso a
seconda di chi pronuncia la battuta (ad esempio, un popolano, o il
narratore, ecc.):
per « pe',
di « de,
con « co', ecc.
Si trovano anche alcuni
vocaboli tipici del giudaico-romanesco, soprattutto nell'ultimo Canto,
la cui prima metà è ambientata nel ghetto ebraico
(cfr. anche l'
appendice).
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Dei molti termini dialettali alcuni sono oggi
di non facile comprensione, quali iofamente per
"splendidamente", a fé per "affatto, davvero",
nostrisci oppure nostròdine per noi cioè un
formale io, il sottoscritto,, e via dicendo; in un lasso di
tempo di oltre 300 anni tali vocaboli sono diventati del tutto
obsoleti, ma per il lettore romano medio la comprensione di questo
testo risulta ancora abbastanza chiara.
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Inoltre, essendo uno dei primi
tentativi di scrivere in dialetto, contrapponendosi alla lingua formale,
Berneri aggiunse molte note esplicative, grazie alle quali anche molti
dei termini oggi sconosciuti possono essere compresi.
LA
STRUTTURA
Meo Patacca si compone di ottave, le cui rime
seguono lo schema fisso A B A B A B C C, ed è diviso in
dodici Canti. Ciascuno di quest'ultimi si apre con un'ottava
supplementare, una specie di breve sommario dei fatti che seguono.